
Piazze e mercati di Udine
I mercati di Udine: la spesa con la tessera annonaria
Piazza San Giacomo | Mercato Nuovo
Piazza del pollame
Piazza XX settembre
Piazza Venerio
Allo scoppio della Grande Guerra una cittadina di quarantacinquemila abitanti, tanti Udine ne contava al tempo, divenne centro nevralgico di deposito e smistamento delle merci e dei beni di sostegno alle necessità belliche.
In molti palazzi cittadini furono dislocati uffici militari e comandi e nei sobborghi vennero creati depositi di munizioni e numerosi magazzini della sussistenza. Per le principali arterie viarie udinesi per più di due anni vi fu un continuo passaggio di truppe italiane e di un enorme numero di artiglierie, di camion e di carri di ogni tipo. Dagli iniziali 600.000 fino a quasi due milioni di soldati poco prima della vicenda di Caporetto in Friuli e a Udine vi fu una crescente presenza di fanti, di sottufficiali, di ufficiali subalterni e ufficiali superiori, che per servizio o per i più svariati motivi soggiornavano per lunghi o brevi periodi nel capoluogo friulano o vi transitavano dopo la permanenza in prima linea. Nel giro di qualche settimana dallo scoppio del conflitto, vi giunsero anche mogli e intere famiglie di graduati e congiunti di feriti, commercianti e commessi viaggiatori, tanto che il Comando dell’Esercito dovette intervenire per limitare la presenza dei civili forestieri.
“A Udine – scrive Arturo Marpicati nel suo E allora non dimenticateci – sembra di trovarsi nel mezzo di un grandioso mercato: carri, carrette, camions, automobili, ferme o in moto; soldati, ufficiali, generali; negozi gremiti di compratori; nelle piazze, accosto alle chiese, sotto i portici, lungo le belle vie e fin per i vicoli vediamo troneggiare cataste di verdure fresche e pile di scatole di pomodori; zoccolanti salmerie in colonna, cariche di viveri e di foraggi, che s’avviano ai paesetti vicini o alle seconde linee del fronte; ai lati delle strade marciano lenti battaglioni di fanteria, e nel mezzo corrono fragorosi autocarri e batterie da campagna che avvolgono in nuvoloni di polverone i disgraziati fantaccini.”
La situazione economica friulana dell’epoca, a giudicare dagli atti dei Consorzi Agrari e delle Camere di Commercio, era nel complesso positiva, in alcuni settori – mais, bachicoltura – addirittura florida: la razione individuale giornaliera di farina di grano, durante la permanenza dell’esercito italiano, era stata di 500 grammi, la continuativa presenza di carni ovine, suine e di pollame avevano compensato, il più delle volte, le limitazioni nell’uso della carne bovina. I latticini e i grassi animali erano stati sempre presenti nell’alimentazione; altri generi alimenti importanti come lo zucchero, il caffè e il sale, erano stati ridotti ma non erano mai veramente mancati; i prodotti degli orti, poi, erano arrivati nei mercati con continuità ed in abbondanza.
Questo scenario mutò radicalmente in seguito all’invasione austro-germanica, a partire da fine ottobre del 1917: la fame divenne una triste realtà, i saccheggi distrussero le riserve dei principali depositi di derrate, specialmente nelle città. Le successive requisizioni e spoliazioni fecero sparire la maggior parte dei prodotti alimentari.
Le carni bovine, suine e gli animali da cortile, le uova, il latte e il formaggio sparirono con le requisizioni; improvvisamente tutto venne a mancare, salvo quei pochi generi che si potevano recuperare col commercio clandestino, che poté essere attuato da pochi contadini nei paesi e nelle città. Gli abitanti delle città, e primi tra tutti quelli di Udine, esaurite le modeste scorte domestiche nascoste in qualche modo ai controlli dei requisitori, furono costretti a vendere prima i pochi oggetti preziosi che possedevamo, e poi addirittura vestiti e biancheria per avere dai contadini minime quantità di prodotti agricoli con cui sfamarsi.
Nelle prime settimane dell’occupazione intere partite di mais furono date in pasto ai cavalli dei vincitori. I Comandi austro – germanici, appropriatisi di tutti i depositi delle derrate alimentari, decisero a proprio piacimento del nutrimento della popolazione, con il criterio guida che le truppe d’occupazione, circa un milione di uomini, e la popolazione delle province invase avrebbero dovuto essere sempre e comunque autosufficienti e non avrebbero dovuto mai richiedere nessun rifornimento agli Imperi. Così, la razione individuale normale da 500 grammi di farina di frumento del periodo di permanenza italiana fu ridotta subito dal Comando Gruppo di Eserciti austro – gerrnanico a 200 grammi di farina di granoturco, più tardi a 150 grammi e nel marzo – aprile 1918 a 100 grammi.